domenica, Novembre 24, 2024
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Covid, gli avvocati napoletani: “Chiudere ora attività giudiziarie per non chiudere più”

Lo Studio legale Riccardo Vizzino e Associati con un dettagliato esposto alle Autorità competenti ha portato all’attenzione delle Istituzioni e della Cittadinanza la grave situazione che gli avvocati e tutti gli operatori giudiziari stanno vivendo a causa del Covid-19 nello svolgimento delle attività giudiziarie.

Ad un anno dalla diffusione della pandemia e dal primo lock-down, l’Italia ripiomba in una nuova ondata di Covid e l’allarme delle diverse varianti ha portato ad un notevole aumento delle zone rosse in tutto Paese.

A livello regionale, negli ultimi giorni il Presidente della Campania Vincenzo De Luca ha firmato un’ordinanza, che prevede l’adozione di misure ancor più restrittive da rendere la regione “super zona rossa”, dato l’elevato numero di casi giornalieri riscontrato, ad esempio in data 11.03.2021 sono stati registrati 3.000 positivi, di cui 684 sintomatici.

Tale provvedimento è stato adottato in vista del nuovo Dpcm, che introdurrà la zona rossa nazionale nel weekend e a Pasqua, ma motivata dalla necessità di adottare misure più rigide per invertire il trend in aumento dei contagi e dei decessi e a scongiurare il collasso del sistema sanitario, tenendo conto che nella regione stanno circolando ampiamente diverse varianti del virus.

In questo contesto nazionale, dopo un anno dall’inizio della pandemia globale di Covid, purtroppo nulla è cambiato.

Infatti, gli uffici giudiziari continuano a versare in condizioni inidonee allo svolgimento delle attività di giustizia in situazione di diffusione epidemica, come quella che attualmente sta dilagando su tutto il territorio nazionale.

Le strutture giudiziarie prevalentemente organizzate in spazi angusti, polverosi, pericolosi, nonché carenti di attrezzature o con impianti, anche di aereazione, malfunzionanti, sono da considerarsi del tutto inadatti all’ordinario svolgimento delle attività di giustizia.

In tali ambienti, già così precari, si affolla quotidianamente una moltitudine di persone – non solo operatori del diritto – di gran lunga superiore alla capacità contenitiva degli stessi uffici, in spregio alle basilari norme di sicurezza.

Complici di tale situazione sono la totale assenza di controllo agli ingressi, nonché l’elevata trattazione di udienze da parte di alcuni uffici giudiziari, soprattutto delle zone periferiche: non è infrequente, infatti, imbattersi in piccole aule d’udienza condivise da più giudici che trattano in poche ore oltre 100 fascicoli.

L’assenza di ogni forma di tutela e garanzia atte a prevenire il rischio di contagio ingenera giustificata apprensione in coloro che quotidianamente sono costretti ad accedervi (magistrati, avvocati, CTU, testimoni, personale amministrativo, parti), mette in serio pericolo il sereno svolgimento delle attività giudiziarie.

Tali criticità legate altresì all’ assenza di controlli ed alla mancanza di attrezzature di primaria utilità e necessarie, anche per la salvaguardia della salubrità ambientale, risultano essere estremamente preoccupanti e pericolose.

A causa di tali disfunzioni organizzative gli avvocati, loro malgrado, se non accalcati nelle aule d’udienza, si trovano costretti ad assembrarsi lungo i corridoi, in attesa della trattazione ovvero a sostenere interminabili file innanzi alle cancellerie, le quali non forniscono gli adeguati servizi a causa della carenza/assenza del personale.

Le cancellerie, dunque, loro malgrado, poiché chiamate ad uno sforzo superiore alle loro capacità di organico e organizzative, in assenza soprattutto di adeguata informatizzazione, non riescono a garantire agli utenti risposte adeguate e celeri.

Le stesse poi, per gestire l’affluenza, dettano calendari, talvolta ufficiosi, particolari e differenti (basati sull’ordine di prenotazione, ovvero sull’ordine alfabetico) per ogni ufficio, creando confusione e difficoltà ancora maggiori per un adempimento che in tempi normali avrebbe consentito la spendita di pochi minuti.

In questo clima è diventato difficile se non impossibile compiere anche le attività più semplici come ad esempio organizzarsi per adempimenti, seguire il corso dei rinvii delle cause nei vari Fori Campani o recarsi in udienza.

A ciò si aggiungano le tantissime denunce di disagi e problematiche circa la fruizione dei mezzi pubblici. Molti Colleghi, infatti, spesso non riescono a recarsi in udienza agli orari prestabiliti a causa dell’eccessivo sovraffollamento dei vagoni della metropolitana.

Proprio nelle ultime ore, è stata disposta la chiusura a data da destinarsi del Giudice di Pace di Nola per acclarati casi di contagio del Virus da parte di Avvocati e personale delle Cancellerie. Stessa sorte si era verificata recentemente anche al Giudice di Pace di Frattamaggiore dove erano risultati positivi al Corona Virus anche alcuni Giudici. Anche il Giudice di Pace di Nocera ultimamente è stato costretto alla chiusura immediata proprio a causa della enorme diffusione dei contagi da Corona Virus tra il personale di cancelleria, Giudice ed Avvocati del Foro.

Tali disagi si sono verificati in numerosi fori del territorio della Campania come ad esempio al Giudice di pace di Napoli, al Giudice di Pace di Marano, al Giudice di pace di Torre Annunziata, Giudice di Pace di Sant’Anastasia ed in altri Fori Giudiziari dove si riscontrano problematiche di rilevante importanza soprattutto in considerazione delle gravissime violazioni di protocolli Sanitari e di sicurezza. E’ il caso di evidenziare, infatti, che nella maggior parte dei casi all’ingresso di dette strutture non vi è personale o strumentazione idonea a regolamentarne gli accessi e per questo motivo, Avvocati, Giudici ed utenti si ritrovano a dovere esercitare la propria attività lavorativa in condizioni del tutto precarie ed insalubri. In tale ambito sono innumerevoli le denunce e le proteste proprio in riferimento al fatto che le udienze si tengono in aule anguste propedeutiche a pericolosi assembramenti ed in condizioni di assoluta violazione delle norme sul distanziamento sociale.

Ogni giorno Avvocati, Giudici, Cancellieri, medici e periti rischiano seriamente la propria salute entrando nei vari Fori Giudiziari per lo svolgimento delle proprie attività professionali. Tutto ciò desta davvero tanta preoccupazione e paura se si considera che non vi sono garanzie o presidi di sicurezza per tali soggetti.

L’attività giudiziaria è un servizio necessario ed indispensabile per il nostro ordinamento e non può e non deve essere fermato, tuttavia non può essere esercitato in dispregio del bene essenziale che è la vita.

I dati statistici e oggettivi parlano chiaro.

È imprescindibile disporre un’immediata chiusura degli Uffici Giudiziari che dovranno essere messi in sicurezza, sanificati e regolamentati affinché possa essere garantito l’inviolabile diritto alla salute di tutti i cittadini.

Occorre, dunque, prevedere una chiusura temporanea di detti luoghi almeno fino alla stabilizzazione e riduzione dei casi di contagio in Campania.

E’ di tutta evidenza, alla luce dei dati raccolti, che i provvedimenti ed i protocolli stabiliti per la fruizione dell’attività giudiziaria non sono sufficienti ed idonee a garantirne lo svolgimento della stessa in sicurezza. E’ stato già ribadito, infatti, che la decisione di ridurre il numero di udienze oppure la predisposizione di controlli all’ingresso degli Uffici mediante il rilevamento della temperatura corporea non sono bastate a diminuire il rischio di salute per gli utenti. Appare dunque necessario attuare misure più incisive e risolutive affinché l’attività di giustizia possa tornare ad essere esercitata in maniera piena ed efficiente in tutte le sue forme.

E’ risaputo che da un anno la pandemia da Covid-19 ha messo a dura prova tutto il reparto di giustizia ed in particolar modo gli Avvocati che hanno subito una drastica riduzione dell’attività lavorativa. Dunque è ben comprensibile che parlare di chiusure immediate degli Uffici Giudiziari possa spaventare ma, in un momento critico come quello che stiamo vivendo, bisogna rivolgere lo sguardo alle giuste scelte e cioè il diritto alla salute e alla vita. Tutti noi Avvocati dovremmo essere uniti e combattere per questi diritti e per un ritorno alla piena normalità.

Nel decidere di combattere e scendere in campo l’unione solidale potrebbe e dovrebbe essere ricercata proprio nello scopo comune che può tradursi nella frase “Chiudere oggi per non chiudere più!”.

In attesa dell’inizio della campagna vaccinale per gli operatori giudiziari ed in particolare per gli Avvocati, che sembra essere ancora in alto mare, lo svolgimento delle attività di giustizia alle suddette condizioni appare antieconomica per gli stessi avvocati, i quali sono chiamati a rischiare la propria vita recandosi in udienza per la trattazione di una sola causa, mentre altre subiscono rinvii e slittamenti anche con una dilazione di 18 mesi.

La provvisoria chiusura dei vari Fori Giudiziari alla quale abbiamo assistito nell’ultimo anno, avrebbe dovuto essere propedeutica all’individuazione di misure di sicurezza e prevenzione tali da garantire la continuazione dello svolgimento dell’attività giudiziaria.

Tuttavia, anche a seguito delle predette chiusure, i piani di sicurezza e prevenzione adottati si sono rivelati inidonei e carenti, non in grado di garantire la continuazione dell’attività giudiziaria, soprattutto in considerazione dell’attuale aumento dei contagi e del tasso di diffusione del virus.

Alla luce dei perduranti disagi e delle problematiche denunciate, nonché della terza ondata di Covid nella quale è rimpiombata l’Italia intera ed in particolare la regione Campania, che è ormai in zona rossa, è necessario disporre una immediata chiusura di tutti gli Uffici Giudiziari e la predisposizione di un serio programma di sicurezza e sanificazione in grado di garantire il diritto alla salute di tutti i soggetti confluenti in tali strutture.

Pertanto, si ritiene che, tutte le misure precauzionali adottate nei giorni scorsi sono risultate alquanto insoddisfacenti, in quanto hanno portato solo ad uno spostamento delle adunanze e degli assembramenti dalla stanza del Giudice alle aree antistanti ( corridoi e androni), e quindi inidonee a prevenire il più possibile ogni forma di rischio per la salute.

Si invitano, quindi, le Autorità competenti a sospendere immediatamente tutte le attività giudiziarie attualmente in corso, al fine di tutelare la salute non solo degli avvocati ma di tutti gli utenti, ciò al fine di evitare danni ed eventuali azioni risarcitorie.

Si insiste ,altresì, affinché le Autorità provvedano a dare impulso alle opportune verifiche, ottemperando alla inadeguatezza delle strutture e degli ambienti che ospitano tali uffici i quali vanno ad inficiare maggiormente le attività giudiziarie e che contribuiscono ad aumentare la situazione di disagio e degrado in cui da anni imperversano le attività forensi.

In caso contrario, potrebbero profilarsi forme di responsabilità penale per epidemia colposa a carico delle Autorità competenti.

Risulta difficile comprendere la logica sottesa al provvedimento di chiusura dei parchi e del lungo mare di Mergellina, nonché le restrizioni totali derivanti dalla “zona rossa” istituita in Campania laddove invece gli Uffici Giudiziari restano aperti favorendo assembramenti e violazione delle norme di sicurezza. Anche la situazione in alcune zone della città di Napoli come ad esempio Piazza Garibaldi e aree limitrofe, in maniera del tutto sconvolgente, non sono interessate da controlli né tantomeno risultano conformi ai provvedimenti restrittivi applicati dalle Istituzioni. In questi casi, infatti, addirittura si assiste all’allestimento di mercatini commerciali con il conseguente affollamento di un gran numero di persone.

Se da un lato, infatti, l’inopinata scelta di consentire la celebrazione di taluni procedimenti innanzi alle svariate Autorità Giudiziarie in presenza stride con le attuali limitazioni imposte in tutti gli altri settori, il libero accesso alle strutture giudiziarie da parte di avvocati, magistrati e personale di cancelleria incrementa, dall’altro, notevolmente il rischio di diffusione del virus Sars-Cov-2. Una maggiore attenzione, con ogni evidenza, deve essere posta anche (e soprattutto) con riferimento alle fisiologiche aggregazioni (necessarie) correlate all’accesso all’interno dei Tribunali da parte degli “addetti a lavori”. Proprio per evitare siffatte circostanze, il Legislatore (benché con fonti normative di carattere “eccezionale”, rectius: DPCM, DL, ecc.) ha inteso limitare – anche a rischio di minare il labile equilibrio socio economico in cui la nostra nazione versava in epoca “ante pandemia” – ogni comportamento, abitudine, esercizio di attività sportive e/o professionali che, per la propria naturale conformazione, avrebbe comportato un necessario aggregamento di più persone. Di fatti, in tema di reati contro la salute pubblica, le cui violazioni sono recentemente tornate in auge, è possibile individuare due “macro aree” di operatività: la prima, di carattere generale, è riferibile a tutte quelle condotte ritenute idonee a “ … cagionare un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni …” di cui al combinato disposto dagli artt. 438 e 452 c.p.; la seconda, di carattere residuale, afferisce alla responsabilità attribuita ai dirigenti scolastici relativamente alla tutela della salute del personale sul posto di lavoro (Cfr. D. lgs. 81/08). Partendo proprio da tale ultima “area”, la recente normativa sulla tutela della salute sul posto di lavoro prevede che il datore di lavoro – inteso, nel caso di specie, in senso ampio “effettui la valutazione di tutti i rischi connessi alla salute del personale”. Ciò si aggiunge ai “doveri di adeguata formazione/informazione, in orario di lavoro, sui rischi specifici cui il lavoratore è esposto in base all’attività svolta” già esplicitati negli artt. 21 e 22 del D. Lgs. 626/94. In mancanza di una normativa di coordinamento o transitoria, la celebrazione di una serie – seppur limitata- di processi cd. “non urgenti”, pure in presenza di un provvedimento normativo avente rango Costituzionale superiore, esporrebbe ingiustamente (ed inevitabilmente) i professionisti del diritto al concreto rischio di incorrere in plurime violazioni dei precetti penali sopra richiamati. Di contro, però, l’inadeguatezza delle strutture Giudiziarie – nella maggior parte dei casi al limite dei parametri minimi degli standars di sicurezza generali (pericolo incendio, terremoto ecc.) richiesti – non può consentire lo svolgimento “in sicurezza” delle attività, creando, inevitabilmente, una sensibile riduzione delle tutele imposte nell’ultimo anno, volte ad evitare il diffondersi della pandemia da Covid-19. Tanto, come detto, sarebbe già da sola circostanza idonea e sufficiente ad integrare le ipotesi di “Delitti colposi contro la salute pubblica” di cui all’art. 452 (che estende, al comma 2, la punibilità anche a titolo di colpa, di coloro che con negligenza, imprudenza ed imperizia, cagionino e/o incrementino la diffusione di germi patogeni – di cui all’art. 438 c.p.).

D’altro canto, proprio in relazione al bene giuridico tutelato, il reato di epidemia colposa, incide direttamente sulla scelta, da parte di soggetti titolari di posizioni di garanzia nei confronti di un determinato ambito di persone.

Tanto, farebbe assumere al fatto tipico, la riconducibilità ad una forma di reato differente; ciò, a seconda della tipologie e delle modalità delle singole violazioni, in concreto, integrate.
Ed infatti, secondo un primo orientamento dottrinale, il delitto di epidemia colposa, deve essere inteso quale reato di danno concreto, in quanto la lesione alla salute pubblica “
deve concretizzarsi in un effettivo danno consistente nella diffusione di determinate malattie”

A parere di altra parte di dottrina, invece, si tratterebbe di reato di pericolo concreto, in quanto l’elemento caratterizzante della fattispecie in questione è il pericolo della diffusività della malattia.

Secondo la giurisprudenza di merito, poi, il reato di epidemia avrebbe una doppia natura, sia di danno che di pericolo, sulla base della considerazione che alla condotta principale, ossia la diffusione di germi patogeni, consegua la manifestazione di una malattia infettiva con una rapida diffusività in un determinato contesto con tempi ridotti e nei confronti di una molteplicità di soggetti.

La giurisprudenza di legittimità, in una recente pronuncia, ha, anch’essa, inquadrato la fattispecie a natura mista, in quanto sarebbe caratterizzata “sia da un evento di danno, rappresentato dalla concreta manifestazione, in un certo numero di persone, di una malattia eziologicamente ricollegabile ai germi patogeni, sia da un evento di pericolo, rappresentato dall’ulteriore propagazione della malattia a causa della capacità dei germi di trasmettersi ad altri individui anche senza l’intervento dell’autore della originaria diffusione”.

Va da se che, l’intervento di un provvedimento ministeriale che, nelle more, autorizza lo svolgimento della attività giudiziaria “in presenza”, sarebbe già da solo idoneo ad integrare l’ipotesi di reato in parola; ciò, infatti, in relazione alla configurabilità della fattispecie prevista dall’art. 438 c.p. sotto forma di reato di pericolo.

In estrema sintesi, l’evento che si produce è caratterizzato da pericolo relativo alla possibilità di una maggiore diffusione, a scapito dell’incolumità e della salute pubblica.

Il pericolo che si rileva è, quindi, conseguente alla potenzialità diffusiva della malattia che colpisce un bene “superindividuale”, all’esito dell’analisi della possibilità di contagio di un numero indeterminato di persone ricollegabile eziologicamente alla condotta dell’agente.

Tuttavia, pur volendo prescindere da quanto sin qui dedotto, in assenza di un adeguamento normativo volto ad estendere la responsabilità penale degli enti (rectius: dlgs 231/08) anche alle istituzioni di “diritto”, l’emergenza epidemiologica, in concreto, ha fatto sorgere non pochi interrogativi; ciò, con particolare riferimento all’estensione analogica della disciplina vigente in materia di responsabilità penale degli enti anche alle istituzioni che, spinte da impulsi politici e/o populisti, incrementano le possibilità di estensione del contagio da Covid-19.

Sotto tale profilo, infatti, il problema riguarda il rapporto tra la normativa emergenziale e gli strumenti di prevenzione e controllo che, a livello di disciplina generale, il d. lgs. 231/2001 predispone e impone alla societas.

In tale ottica, le fattispecie di reato-presupposto che potrebbero essere ascritte all’ente sono molteplici; un punto di osservazione particolarmente significativo è, di certo, rappresentato da quelle di cui all’art. 25 septies del d. lgs. 231/2001, ossia omicidio colposo e lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (come previsti dal d. lgs. 9 aprile 2008, n. 81, Testo Unico in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro): in concreto, viene in rilievo l’ipotesi di diffusione del contagio, in un contesto di presunte violazioni della normativa antinfortunistica.

Inoltre, l’art. 42, co. 2 del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 prevede ora espressamente che il contagio da COVID-19 in ambito lavorativo debba essere trattato dal datore di lavoro come infortunio.

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