«L’uomo trae il pane dalla terra», evoca il salmo 104, a ricordare che il pane è lì, ma al contempo solo l’uomo sa “trarlo fuori”, sa chiamarlo alla vita. Non facciamo di chi fa il pane la metafora dell’ennesima sconfitta di una politica che guarda più alla speculazione che alla vita degli uomini, perché, come narra sempre il salmo, è il «pane che sostiene il cuore dell’uomo».
Quando la dignità delle persone è rovinata e abusata, così come accade nelle tante storie ascoltate e incrociate nel corso della mia vita, come quelle dei panificatori che ho incontrato questa mattina in una delegazione Unipan-Confcommercio, pensare a percorsi nuovi, uscire dalla freddezza di leggi e numeri e chiedersi cos’altro pensare, quali altre strade immaginare per ridare fiato a un settore profondamente in crisi ma fondamentale, emblematicamente segno di riconoscimento di ogni popolo e di ogni cultura, credo sia non solo una necessità ma un dovere.
Ho incrociato negli occhi di questi lavoratori una memoria grata per un mestiere antico, ma ho visto anche ben impresse sulla loro pelle le profonde ferite inferte da questa crisi che non è solo economica, ma sociale, umana, oserei dire familiare, per tutte le implicazioni psicologiche che ne conseguono.
L’analisi dei bilanci delle imprese del settore della panificazione relativamente al periodo pre-crisi evidenziava un impatto dei costi riconducibili alle materie prime energetiche molto basso sul fatturato complessivo aziendale. La situazione attuale disegna uno scenario che configura un balzo eclatante delle stesse voci di costo, mediamente quadruplicate. Se poi aggiungiamo anche l’aumento delle materie prime (zucchero, olio, farina, packaging…), il quadro che ne consegue rischia di produrre davvero effetti devastanti sul comparto.
Faccio appello a tutte le istituzioni perché si sentano chiamate a dare e a fare di più, a rendere migliori e più efficaci gli attuali strumenti legislativi perché in assenza di aiuti concreti alle imprese e/o di interventi lineari e strutturali finalizzati a limitare l’impatto negativo della crisi energetica, si rischia di perdere numerosissime imprese dell’intero settore della panificazione che potrebbero chiudere senza essere sostituite da nuove aziende, con una perdita di centinaia di posti di lavoro. Alcune attività hanno già iniziato a ridurre il personale e hanno diminuito la produzione giornaliera proprio per evitare un appesantimento del bilancio aziendale, consapevoli delle evidenti difficoltà.
Le misure fin qui varate, credito d’imposta e prestiti garantiti alle imprese, se da un lato colgono l’esigenza del “qui ed ora”, non tengono conto che, comunque, si stanno caricando le imprese di nuovi debiti a cui non potranno far fronte nei prossimi mesi. L’indebitamento è cibo quotidiano per la criminalità organizzata che, navigando nelle acque inquinate dell’usura e del riciclo, produce non un pane che sprigiona il profumo della vita, ma dal sapore rancido e raffermo del malaffare.
Ancora una volta è chiaro che prevenire prima ancora che tendere la mano a chi fa fatica, è cercare di capire da dove nascono le difficoltà e quindi impegnarci per eliminarne le cause. Prevenzione è continuare a ribadire che l’usura o l’acquisizione di aziende come prestanome sono solo la conseguenza di un apparato malato e che il problema su cui tutti siamo chiamati a lavorare e trasformare è proprio questo sistema che scarta ed esclude. Non possiamo, non dobbiamo permetterlo! Come Chiesa faremo la nostra parte, non ci tireremo indietro, non faremo mancare la nostra presenza, il nostro accompagnamento, la nostra voce.
Tuttavia ora è tempo di agire! I panifici non possono reggere mantenendo un prezzo socialmente equo e questa emergenza “imprenditoriale” rischia, più di ogni altra, di diventare un’emergenza sociale: il pane non è e non può essere un prodotto da “borsa”!