“Fatelo, fallo in memoria di me”. Nel silenzio di una chiesa del centro sono queste le parole che oggi mi hanno fatto vibrare l’anima. Parole passate non per l’udito fisico ma per quello del cuore. Il cuore, infatti, quando abita il silenzio si trasforma in un organo di senso perché diventa come un orecchio capace di udire, di ascoltare, di accogliere e captare i suoni, ma anche perché attraverso l’arte dell’ascolto decifra il senso, il significato più profondo delle cose, dell’esistenza, dei sentieri personali come dei percorsi comunitari, della vita immensa di cui l’universo è pieno come della mia piccola, semplice, umile vita, dono ricevuto gratuitamente, capitale da spendere con generosità. “Fate questo in memoria di me”: ogni giorno ripeto queste parole. Sono il centro della vita della comunità, sono l’anima dell’esistenza di un prete e io, oggi, lo sono da 35 anni.
Proprio per questo stamattina ho compiuto quel piccolo pellegrinaggio, quel tragitto di pochi metri che nel cuore della città porta dall’episcopio alla chiesa delle Sacramentine. L’ho compiuto per ringraziare del dono del servizio, della possibilità che il Signore mi dona ogni giorno permettendomi di chinarmi sulle ferite dei piccoli allo stesso modo di come Lui si china sulle mie, aiutandomi a trasformare ogni giorno le mie ombre in luce, le mie fragilità in forza, allo stesso di come Lui trasforma il pane in suo corpo, il vino in suo sangue, fino a donarsi senza riserve come cibo, nutrimento, viatico chiedendo a me, a voi fratelli e sorelle, di fare lo stesso con la nostra vita, senza ritrarci mai dal cammino della condivisione e del dono.
“Fate questo, fatelo, fallo in memoria di me”. Fare cosa? Un rito? Possibile che il Maestro si riferisse a questo o piuttosto per Lui l’Eucarestia racchiudeva e racchiude l’essenza della vita autentica, l’unica bellezza veramente possibile, la formula di un’esistenza piena e libera perché fondata sull’amore, su quell’amore capace di trasformare il male in bene, la morte in vita?
Quante volte come prete, fratelli e sorelle mie, ho subito la tentazione di voltarmi dall’altra parte, di salvare la quiete personale convincendomi che i problemi del mondo non fossero i miei, e che seppure lo fossero stati avrei potuto fare poco o nulla per risolverli. Quante volte ho avuto voglia di credere che quel “fate questo in memoria di me” si fosse adempiuto nella mia vita con la celebrazione della Messa, senza bisogno che la forza di questo sacramento straripasse nelle scelte quotidiane come in quelle importanti, decisive! Quante volte avrei voluto rifugiarmi tra le mura rassicuranti della mia casa o della mia chiesa, ma ogni volta le parole di un profeta così importante per il mio sacerdozio mi hanno stanato dalle mie fughe: “l’Eucarestia non tollera la sedentarietà” disse don Tonino.
E così anche oggi, in quest’anniversario, ho rinunciato alla sedentarietà, mi sono alzato e messo in cammino per arrivare al mare. A quel mare che bagna la nostra città e in cui un gruppo di Samaritani, esperti nel cavalcare le onde del Mediterraneo come quelle della sofferenza umana, è approdato insieme a uomini e donne, madri e bambini scappati dalla fame, dalla povertà, dalla guerra per chiedere accoglienza e nuove possibilità di vita.
Sapete, a un certo punto mi sono accorto di non aver interrotto l’adorazione e che il Cristo che mi parlava dall’Eucarestia era lo stesso che attraverso quei volti sofferenti che chiedevano giustizia e pace mi parlava al cuore, chiedendomi ancora una volta: ama, donati fino in fondo, senza riserve e fallo in memoria di me! E quando un bambino in braccio a sua madre mi ha dato la mano nel tentativo di afferrare la mia mi è parso di ascoltare nel cuore la voce del Signore: non sarai solo, ti darò io stesso una mano attraverso i piccoli e i poveri, gli emarginati e gli esclusi che incontrerai sul tuo cammino.
Si fratelli e sorelle, a volte crediamo che i poveri ci scomodano, li consideriamo emergenze da risolvere in fretta e furia nel tentativo di voltare pagina e far finta che non esistano. Ma il Signore con il suo Vangelo ci ha insegnato il contrario: i poveri ci salvano, ci offrono l’opportunità di amare fino in fondo e gratuitamente, il loro volto ci chiede di “restare umani”, diseppellendo la nostra umanità dai detriti dell’egoismo, da un’economia malata fondata sui valori malati del guadagno a tutti i costi, della competizione ad oltranza, dell’indifferenza assoluta verso chi resta indietro.
Si, i poveri ci salavano, ci salvano i 107 fratelli e sorelle che sono arrivati quest’oggi a Napoli con la nave SEA-EYE 4 e noi faremo memoria di Lui lasciandoci salvare e accogliendoli!
Si, i poveri ci salavano, e ci salvano coloro che si mettono al loro servizio, come i tanti operatori della Prefettura, del Comune, delle ASL, della Caritas, della Croce Rossa, del volontariato e dell’associazionismo e noi faremo memoria di Lui condividendo il loro servizio, spalancando le braccia a questi nostri fratelli e sorelle migranti!
Si, i poveri ci salavano, perfino quelli oramai senza più vita, come i due le cui salme avvolte da coperte ho benedetto quest’oggi tra le lacrime e noi faremo memoria di Lui nella misura in cui combatteremo per un mondo più giusto, solidale, equo, evitando che il mare divenga un cimitero per questi nostri fratelli!
Si, i poveri ci salvano come ha salvato la mia speranza una donna che tra le lacrime è scesa dalla nave, si è prostrata e ha baciato la terra che per lei aveva il sapore della speranza e noi faremo memoria di Lui se la speranza pervaderà davvero e fino in fondo la nostra vita, condividendola con coloro a cui l’indifferenza umana l’ha sottratta!
Si fratelli e sorelle, i poveri ci salvano, perché i loro volti sono per noi il volto stesso di Cristo, perché le loro voci sono per noi la voce stessa di Cristo che ci invita a essere pane spezzato, amore donato, uomini e donne che ogni giorno rendono la loro vita “eucarestia” in memoria di Lui.
E oggi, ricordando il giorno in cui per la prima volta pronunciai da prete le parole della Cena, per fare fino in fondo in sua memoria, non ho altra strada che farmi, insieme alla Chiesa napoletana che il Signore mi ha affidato, casa accogliente, città ospitale, voce disposta a gridare nel deserto dell’indifferenza il dovere dell’accoglienza, il sacramento dell’ospitalità!