All’ingresso della scuola arrivano gli agenti della Polizia di Stato. Con loro cani antidroga, pronti ad annusare la presenza di sostanze stupefacenti. In mano i poliziotti hanno i rilevatori di metallo, comunemente definiti “Metal Detector”. Per una mattinala l’androne dell’istituto tecnico “Marie Curie” di Ponticelli a Napoli diventa un check point. La preside, Valeria Pirone, sollecitata da alcuni genitori, aveva lanciato l’allarme: venite a darci una mano, a scuola ci sono alunni che arrivano con coltelli e droga. Uno scenario che definisce plasticamente tutto il fallimento della società in cui viviamo.
A CHE SERVE MILITARIZZARE LA SCUOLA?
La notizia la rivela il quotidiano Il Mattino, che racconta anche che gli stessi alunni sarebbero stati felici di questo “fuori programma”. Come se la presenza dello Stato (che è già testimoniata dalla scuola, a meno che non la si voglia considerare un’istituzione privata), fosse resa tangibile solo dalla militarizzazione. Quando si arriva a dover concepire queste iniziative estreme, occorre interrogarsi sul naufragio della società, delle famiglie e dell’insegnamento. Eppure l’ineffabile preside annuncia che la Polizia ha assicurato altri blitz, a sorpresa, magari anche con controlli dentro ai bagni e nelle aule. La prossima iniziativa sarà il filo spinato, forse il presidio permanente dell’esercito…
SENZA MODELLI POSITIVI, NESSUN ARGINE ALLA VIOLENZA
Non è la prima scuola di Napoli dove è stata presa questa iniziativa dei Metal Detector. Era successo l’anno scorso anche in un istituto del centro. Un modo folkloristico per dare una risposta al fenomeno della violenza giovanile, senza alcuna capacità di offrire ai giovanissimi alternative alla rabbia e alla violenza. Proprio nell’istituto di Ponticelli, a settembre scorso un 15enne venne accoltellato da alcuni coetanei. E a Barra, tre giorni fa, un ragazzino di 13 anni è stato pestato a sangue per gelosia da un “branco” di 15enni. Fenomeni che evidenziano un disagio al quale, rispondendo con la repressione o il controllo militare, non si offre alcuna soluzione. Le scuole come check point no, proprio in quei luoghi occorre insegnare il rispetto, la capacità di convivere, provando ad affascinare i ragazzi e a proporre modelli positivi. A cui riferirsi, da imitare. Un lavoro più complicato, ma sicuramente più efficace.