Mare, buona cucina e tanta accoglienza. Se davvero questi sono gli ingredienti costitutivi di Napoli, come fanno a non essere esportati altrove?
Il profumo di pastiera, la macchia di ragù sulla camicia, il cornicione della pizza: perché si dovrebbero privare le altre città di avere anche solo uno scorcio di Partenope?
La domanda è retorica, ovviamente, perché durante gli anni tutto ciò che può dirsi napoletano, è stato divulgato come un vero e proprio brand. E una città tanto internazionale e collettrice di identità, quale Milano, non poteva non esserne palcoscenico.
Napoli a Milano, dove?
Basta arrivare a Milano con il treno per vedere che, all’interno della Stazione Centrale e nei pressi della metropolitana, a qualche rampa mobile di distanza, spuntano nomi che subito riportano all’immaginario campano: la pizza di Rossopomodoro per pranzo o cena (o spuntino di metà mattinata e pomeriggio, perché no) e l’espresso di Caffè Napoli in conclusione. E questo convive, nello stesso spazio, insieme a fast food internazionali, bistrot locali e altre cucine regionali, tutto tra un binario e l’altro.
E se già in stazione centrale la cucina di Napoli si palesa in più poli, il suo profumo si respira a pieni polmoni in tutta la città di Milano.
Da De Filippo a Miniero: quanti napoletani a Milano?
Tra studenti fuorisede e lavoratori ormai trasferitisi, il numero di persone campane nella capitale lombarda tende ad aumentare sempre di più. Perché la napoletanità non è solo un fattore culinario, ma è uno stile di vita, un mood che ogni qual volta una persona si sposta altrove, porta con sé.
Non è affatto strano o inusuale camminare per le vie milanesi e sentire una forte cadenza o parole in dialetto napoletano. Ci sono film e commedie di ogni tipo che raccontano le differenze tra queste due città e i relativi popoli, da “Napoletani a Milano” di Eduardo De Filippo a “Benvenuti al Nord” di Luca Miniero, entro cui c’è una battuta che ben esemplifica quanto detto: Claudio Bisio propone per cena il sushi ad Alessandro Siani, il quale, non capendo la proposta, risponde “ascimm? Aro jamm?” (“usciamo? e dove andiamo?”). Anche questa è Napoli: convivialità, improvvisazione, intraprendenza.
La cucina: tra food district e caffè espresso.
Napoli non è solo cibo, certo, ma i poli culinari sono senza dubbio la massima espressione della sua cultura, forse perché quella più visibile e profumata.
Dagli angoli di Food District, come la catena Sciuscià di Pippo Ciccarelli nei pressi di Chinatown, ai singoli ristoranti sparsi in tutta Milano, da Trattoria Caprese in zona Romolo, alla pizza fritta di Zia Esterina fino ai numerosissimi bar, dal sopracitato Caffè Napoli ad Aroma Napoletano con i suoi cornetti ischitani.
È un vero e proprio brand quello che raccoglie le manifestazioni di Napoli e dintorni, che passa dallo stato d’animo al carattere ai piatti che le persone mangiano. E sarebbe un peccato pensare di tenere tutta questa bellezza solo per noi, perché Napoli fa questo: crea le onde dove non è pensato nemmeno il mare.