Il Consiglio di amministrazione del Teatro Stabile di Napoli – Teatro Nazionale nella seduta odierna ha conferito all’unanimità, su proposta del Presidente Filippo Patroni Griffi, la direzione a Roberto Andò a partire dal gennaio 2020. Andò succede quindi a Luca De Fusco. Il presidente Filippo Patroni Griffi esprime, a nome suo e del Consiglio di Amministrazione, «le più vive felicitazioni a Andò, figura eccellente dalla scena culturale italiana che – dichiara – saprà proseguire e sviluppare l’ottimo lavoro tracciato da De Fusco. Il massimo ringraziamento da parte di tutti noi va a Luca De Fusco per i grandi obiettivi raggiunti in questi 8 anni e siamo certi che la sua attività continui ad altissimi livelli. Desidero ringraziare tutto il Cda per l’attenzione prestata nel corso di una lunga istruttoria e i soci per aver lasciato il Consiglio e i Consiglieri liberi nella loro autonomia di scelta».
Roberto Andò. Regista cinematografico e teatrale, scrittore, sceneggiatore italiano (n. Palermo 1959). Esponente significativo della generazione di registi affermatisi negli anni Novanta il cui profilo creativo si è espresso tanto nel cinema quanto nel teatro e nella letteratura. La riflessione intellettuale, la tensione civile, la predilezione per le atmosfere ambigue, metafisiche da un lato e dai risvolti noir e psicanalitici, dall’altro, hanno caratterizzato il suo lavoro cinematografico. Abile costruttore di climi rarefatti, ma solidamente inscritti nell’intrigo narrativo e nella suspense psicologica, A. con i suoi film è riuscito a esprimere in uno stile elegante e colto, interrogativi esistenziali, politici, filosofici. Molto di ciò gli deriva da una formazione sia letteraria sia cinematografica in cui ha maturato e messo a frutto la lezione di alcuni maestri incontrati agli inizi della sua carriera. Dopo aver intrapreso studi di filosofia, ha effettuato il suo apprendistato nel cinema tra Roma e la sua Sicilia. Qui l’incontro con un mentore come L. Sciascia è stato decisivo. Accanto a lui, A. ha affinato la sua visione del mondo, della società, dell’uomo, e anche di quella ‘metafora’ che è l’isola natia, microcosmo e punto di osservazione spesso presente nel suo lavoro, coniugando l’esplorazione delle sue radici culturali con un più ampio respiro intellettuale di matrice europea, che si riflette anche nella scelta di cast, e spesso di ambientazioni, internazionali per i suoi film. Tuttavia la frequentazione come aiutoregista dei set di grandi del cinema americano, come Cimino e Coppola, o italiano, come Fellini e Rosi (di cui è diventato amico e cui ha dedicato nel 2002 un ritratto filmato, Il cineasta e il labirinto, che si è aggiunto ad altri lavori video dedicati ad artisti quali R. Wilson o H. Pinter, nel 1994 e nel 1998), ha certamente contribuito allo sviluppo della particolare visione che sottende i suoi lavori, in cui con abilità il realismo si intreccia con un forte senso del mistero e del fantastico. Questa cifra appare evidente sin da Diario senza date (1995, diventato poi nel 2008 un libro), la sua opera prima in forma di film-saggio, misto di finzione e documento, da cui emerge l’‘arcano’ di una città-simbolo come Palermo. Inevitabile e conseguente la successiva esplorazione dell’universo esistenziale e letterario di Tomasi di Lampedusa con il successivo Il manoscritto del principe (2000) in cui si raccontano la genesi e l’eredità di un libro-chiave del Novecento come Il Gattopardo. Sono seguiti due film che possono considerarsi un dittico, in forma di ‘mistery’ esistenziale, sui temi dell’identità e dell’ambiguità tra vero e falso, dell’irruzione del passato nel presente, dei rapporti familiari irrisolti, dei segreti della mente o della scrittura (i protagonisti sono rispettivamente uno scrittore e uno psicoanalista): Sotto falso nome (2004, con D. Auteuil, A. Mouglalis e G. Scacchi) e Viaggio segreto (2006, liberamente tratto dal romanzo The Reconstructionist di J. Hart, pubblicato nel 2002) e nel quale compare come coprotagonista il cineasta E. Kusturica. Ancora i segreti dell’identità e i labirinti della finzione sono al centro di Viva la libertà (2013, Premio Efebo d’Oro Cinema e Narrativa, tratto dal romanzo dello stesso A., Il trono vuoto, Premio Campiello opera prima), ma questa volta l’impianto è quello classico (goldoniano e pirandelliano) della commedia centrata sullo scambio di persona, i cui riverberi drammatici diventano però epitome della ‘recita politica’ di un’Italia, e di una sinistra, che sembrano aver perso l’anima. I due gemelli protagonisti (un politico che abbandona tutto e fugge a Parigi sul set di un film inseguendo una donna e suo fratello internato in una casa di cura, che lo sostituisce sulla scena pubblica, interpretati da un grande Servillo) e la loro diversa ‘follia’ sono metafora della dicotomia tra esercizio del potere e scatenamento della libertà. In Le confessioni (2016) i motivi del segreto e del potere si riflettono nell’emblematica e algida ambientazione in un albergo esclusivo immerso nella natura, in cui i ministri dell’economia dei Paesi più sviluppati si danno convegno per un G8 e dove, come un visitatore misterioso, un vero ‘angelo sterminatore’, si aggira un frate certosino (ancora Servillo in una prova di sottigliezza recitativa magistrale) che terrà in scacco i potenti. Anche in questo caso significative sono nel film le allusioni letterarie congeniali ad A. (Borges, Sciascia, Dürrenmatt). L’attività teatrale di A. si è negli anni divisa tra prosa e lirica, affrontando testi di scrittori del Novecento e contemporanei come J. Genet, Pinter, M. Crimp, Y. Reza, T. Ben Jelloun, P. Auster, E. Canetti, Calvino, A. Zanzotto, L. Piccolo, A.M. Ortese, oppure costruendo drammaturgie ispirate a scrittori siciliani come Sciascia o Consolo, o a compositori come A. Webern, collaborando con musicisti, attori, artisti come N. Sani, D. Abbado, M. Ovadia, F. Pennisi, G. Sollima, M. Betta o mettendo in scena grandi opere di Mozart, Wagner, Rossini, Ravel, Bartók. Da tutto ciò è emersa la vocazione poliedrica e la raffinatezza culturale di A., che si è andata traducendo in varie forme, tutte accomunate dalla riflessione intellettuale e dagli interrogativi civili e filosofici. Tra i suoi lavori più recenti occorre citare In attesa di giudizio(2017), pièce che riflette su significanti e significati che l’uomo ha attribuito alla giurisprudenza, e Una storia senza nome (2018), presentato fuori concorso alla 75a edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.
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