C’è chi lo paragona ad una “prima donna” dell’enologia. Bizzoso, ma carico di personalità e capace di stupire ad ogni assaggio. La sua uva potrebbe essere originaria dell’Asia Minore e la leggenda vuole che la coltivazione si deve a Diòmede, figlio di Tideo e re di Argo.
Si chiama Nero di Troia, proprio come la cittadina della Daunia che dà il nome al vitigno della Puglia settentrionale.
Un vitigno tannico che produce un rosso – ma può essere vinificato anche in rosato e in bianco – complesso da lavorare ma che regala emozioni forti al palato.
Oggi questo vino è soprattutto sinonimo di sviluppo territoriale. Intorno al Nero di Troia, le comunità locali stanno costruendo anche percorsi enogastronomici realizzati intorno ai prodotti della terra e alle coltivazioni bio, tra le quali spicca proprio questo rosso dal carattere non proprio facile e volubile.
Con la riscoperta del turismo di prossimità, agevolato anche dalle restrizioni imposte dalle limitazioni da Covid-19, Troia, ma anche Orsara di Puglia, Ascoli Satriano e le più gettonate Bovino e Lucera, hanno aumentato i visitatori e anche i giorni di permanenza nei borghi, alla scoperta delle cantine e delle tecniche di vinificazione. Nei giorni scorsi, grazie all’intuizione dell’amministrazione comunale di Troia, è stato organizzato un press tour con giornalisti, instagrammer e influencer per far conoscere il nero e non solo. Anche l’olio, l’oro verde di Puglia e le bellezze dei paesaggi e i tesori d’arte e i monumenti, a partire dalla cattedrale di Troia con il rosone più grande del mondo.
Urbano Di Pierro, fondatore dell’azienda vinicola Decanto di Troia e consigliere comunale con delega all’Agricoltura non ha dubbi: oggi per attrarre visitatori devi prima raccontare il vino e poi far vivere l’esperienza diretta nella vigna e far sentire l’odore della terra