Microplastiche in mare: la loro presenza altera l’ecosistema. La conferma arriva dall’elaborazione dei primi risultati dell’esperimento scientifico svolto nel Golfo di Napoli dalla stazione zoologica “Anton Dohrn”, che ha installato sei grandi laboratori sommersi di oltre 15 metri di profondità e 2 metri di diametro per il campionamento delle acque nell’area di Mergellina. I dati, ancora parziali, sono stati anticipati in vista del Forum internazionale sui rifiuti Polieco dal titolo “Plastica: ancora un futuro?”, tenutosi a Ischia il 21 e 22 settembre.
Come spiegato dalla direttrice del consorzio Polieco, Claudia Salvestrini, che ha aperto i lavori del Forum insieme al presidente Enrico Bobbio, “a Napoli è stato effettuato uno studio non comparabile con nessun altro progetto”. Obiettivo della ricerca comprendere gli effetti sulla biodiversità e sulle componenti più grandi che possono finire nei nostri piatti. Gli studi effettuati finora non hanno tenuto conto di tutta la colonna d’acqua, visto che normalmente i prelievi per il campionamento vengono effettuati in superficie né hanno preso in considerazione frammenti di dimensioni inferiori a 0,3 millimetri. A Napoli, invece, questi due aspetti sono stati tenuti in considerazione e il risultato del campionamento, in termini numerici, cambia in modo netto. Se infatti le acque superficiali contengono dai 4 ai 10 frammenti ogni 1000 litri di acqua e il dato è comparabile con quello del Mare del Nord, dell’Oceano Pacifico e Atlantico, quelle più profonde presentano dai 14 ai 23 frammenti per 1000 litri di acqua.
Cosa è stato osservato? Le microplastiche non restano in superficie e anche se i frammenti sono piccoli e leggeri, una parte consistente scende. Lo studio mette in rilievo che già dopo un giorno, i frammenti si ritrovano da 5 a 10 metri di profondità. Tra il 50 e 90%, si ritrovano a 10 metri dopo 6 giorni. Quali gli impatti? Il più preoccupante è quello sui microorganismi marini, visto che i frammenti sono colonizzati dai batteri nel giro di poche ore e questo finisce per modificare in maniera rilevante e significativa la biodiversità batterica presente nell’acqua e l’attività biologica batterica.
La conseguenza è che il ciclo naturale delle piccole molecole presenti in acqua viene alterato. A modificarsi è la composizione della comunità delle microalghe e quella dei piccolissimi animali (i microzooplancton) che si nutrono di microalghe e batteri. Allo stesso tempo, le microalghe si “attaccano” sulle microplastiche modificando così la loro distribuzione spaziale nella massa d’acqua, nonché la grandezza e la densità (il peso) delle microplastiche. Dalla ricerca si evince che questi aggregati, sedimentando più velocemente verso il fondo, diventano prede ancora più appetibili per erbivori, invertebrati (crostacei) o vertebrati (pesci).
Parallelamente cosa accade? Che queste microplastiche, ingerite da animali erbivori, entrano nella catena alimentare. Le microplastiche, secondo lo studio, incidono sia sulla parte microscopica dell’ecosistema, modificandone l’equilibrio, sia sulla parte macroscopica, quando vengono ingerite. Il connubio fra queste due conseguenze può essere drammatico.
La Dohrn, che sta svolgendo queste ricerche in collaborazione con 10 istituti di ricerca marina italiani ed europei e il coinvolgimento della Laurea Mare della Federico II e del Liceo Silvestri di Portici, era presente al Forum Polieco con Silvestro Greco, direttore della sede romana della stazione zoologica, il quale ha sottolineato che il problema non è solo del Golfo di Napoli ma di tutto il Mediterraneo.
Tra gli ospiti del Forum il deputato Salvatore Micillo, sottosegretario di Stato per l’Ambiente, per il quale il problema è limitare l’uso e getta. “Dopo un uso sconsiderato di questo materiale – ha detto il sottosegretario – è giunto il momento di incentivare le bioplastiche nell’ambito di un’economia sostenibile, anche perché, lo ribadisco, noi siamo il governo dell’Economia Circolare”.
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