Luché, in libreria “Il giorno dopo”: confessioni e segreti di un rapper

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Luchè
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È dal 19 novembre nelle librerie Il giorno dopo, primo libro del rapper Luchè, Luca Imprudente, che in 17 capitoli  e 219 pagine raccoglie confessioni, segreti intimi, preziose informazioni creative e retroscena autobiografici. Le pagine includono uno straripante apparato fotografico tratto dal suo archivio personale cui si aggiungono ritratti realizzati da Gaetano De Angelis. Un modo per documentare un excursus che trasla la narrazione da quando l’artista era minorenne fino agli ultimi mesi.
Luchè è spietato, nella stesura della storia. Lui che è simbolo del cosiddetto rap sentito.
Gli intestini del volume non fanno sconti a nessuno. Anzitutto a se stesso. “Magari potessi controllare il mio umore con un telecomando – scrive a pagina 74, nel capitolo Essere sensibili – ci ho provato per anni con il litio che aiutava a stabilizzarmi. È stato utile nei momenti di grandissima confusione depressione, ma solo durante il giorno. La notte non avevo scampo e diventavo preda dei miei pensieri assassini (…) Credo che la depressione sia frutto della mia profonda sensibilità. Senza peccare di arroganza, non credo di aver mai conosciuto una persona sensibile quanto me, anche se nessuno lo darebbe mai a vedere. Molte persone, leggendo queste pagine, scopriranno un lato di me che non emerge, se non di notte quando sono chiuso da solo fra quattro mura”.
Luchè, via via, rivela quando confidò alla madre “Ma’, io ho un sogno: voglio fare il cantante”. Spiega meticolosamente e con emozione reale la fine del duo rap Cosang, che ha lasciato in eredità alle antologie hip hop italiane un paio di album: Chi more pe’ mme [che contiene Int’ ‘o rione, il loro primo pezzo in assoluto plasmato da un campione della colonna sonora del film Il favoloso mondo di Amélie composta da Yann Tiersen] e Vita bona.
Di più: dice pure perché il terzo album del duo, già registrato, non sia mai più stato pubblicato.
La sua poesia cruda non arretra di un millimetro.
Quasi in un remake del lungometraggio-cult I magliari di Francesco Rosi, Luchè ricorda i 20 anni: “Arrivo a Londra e ci resto dieci mesi. Un rapper napoletano mi introduce in un giro che vende roba in strada. Iniziamo dalle telecamere, lui ne vende un sacco, io solo qualcuna e quindi non ci guadagno molto. Sono le prime telecamere portatili, di produzione cinese, registrano solo video di un paio di minuti. Togliamo gli adesivi originali per metterci quello di una nota marca di elettronica, incluso nella confezione, rendendole più appetibili. Le paghiamo 70-75 sterline, le rivendiamo a 100-150 (…) Poi inizio a vendere abiti classici da uomo. Li prendo in due, tre negozi con le vetrine oscurate, gestiti da napoletani, dove entriamo solo noi napoletani. Ci sono anche degli orologi che mi costano 5 sterline e rivendo a 45-50. Trascorro molti anni della mia gioventù per le strade di Londra a fare i pacchi. Questo lavoro si chiama ‘o magliar’, business che solo noi napoletani facciamo in quasi tutto il mondo”.
Poi Luchè cresce, diventa manager di se stesso: discografia, ristorazione, brand di streetwear.
In particolare a New York: “Apro Bravi Ragazzi in un ex bar di Brooklyn, precisamente a Bed-Stuy, il quartiere del dio del rap, Notorious BIG. Il posto è perfetto per avere sia una sala che una cucina più spaziosa. A NY c’ero stato tanto tempo ma quest’esperienza era nuova per me. Solo che avendo a che fare con persone giorno per giorno ho capito che NY non è altro che una Napoli all’ennesima potenza. Non puoi girarti un attimo che provano a mettertelo in quel posto”.
Nelle sue avventure musicali, il cantante incontra tanti magnifici compagni di viaggio: D-Ross, CoCo, Star-T-Uffo, Marracash, Enzo Avitabile, Guè Pequeno, Stefa Ebbasta, Fuossera, Franco Ricciardi. Altrettanti percorsi creativi sono illustrati in questi capitoli dall’artista napoletano: come sono nate, ad esempio, le canzoni Je ce credevo, Stamm Fort, ‘O primmo ammore – inserito nella colonna sonora di Gomorra – la serie, e Il mio ricordo, “il cui beat lo faccio col campione di Asteco e cielo, che è da sempre il mio pezzo preferito di Enzo Avitabile”, sussurra. E, infine, aggiunge: “Sono una persona sensibile? Ok, facciamolo venire fuori senza paura. Sono ambizioso? Bene, lavoriamo duro senza temere il giudizio degli altri. Mi sento poetico? Scrivo un disco e metto insieme tutte le mie emozioni. Bisogna solo guardarsi dentro per trovare la propria strada, un lavoro quotidiano verso la serenità e il conoscersi davvero. E questo è il bello”.