Napoli, la sconfitta col Milan maturata nella settimana post Lazio

0
188

Spalletti ha perso la sua partita della stagione un minuto dopo la vittoria a Roma con la Lazio. Con l’elegante polemica sugli attributi della sua squadra della cui esistenza ha provato a convincerci, al termine di un match vinto grazie all’episodio favorevole di un bel gol di Fabian Ruiz in pieno recupero. Ha proseguito sulla scia caricando la vigilia di Napoli-Milan andando a spolverare l’altarino di Maradona (pratica assolutamente masochistica) e addirittura a caricare di “immortalità” l’eventuale vittoria. Eppure avrebbe dovuto leggere gli astri, lui che galleggia tra l’ascetico e l’esoterico, quando ha visto che per raccontare il match gli analisti sono andati a spolverare quel Napoli-Milan dell’88 che era si una partita importante ma raccontava pur sempre di una sconfitta. Non si è accorto o non vuole convincersi, o peggio ancora si racconta e ci racconta un’altra storia, che quella che guida è una bella squadra per quando c’è un vento e puoi andare di bolina, ma più di ogni cosa quando il traguardo è lontano. Il Napoli, e non solo quello di quest’anno, ha dimostrato che quando il gioco si fa duro, si sgretola, si perde. Per dirla con Spalletti, che pure ogni tanto tira fuori una verità, non regge la pressione e quindi “si sposta un po’ più in la”. Il confronto con i rossoneri evidenza anche la differenza abissale dei due progetti societari: quello azzurro bastevole, grazie anche a un inizio fulminante, per aggrapparsi al treno Champions (unico vero e assoluto obiettivo di De Laurentiis da quando ha comprato il Napoli); quello milanese, con il decisivo apporto di Paolo Maldini, costruito per puntare alla vittoria, con un mix ben riuscito di giovanissimi talenti e calciatori esperti e con il pedigree da vincenti (Ibrahimovic e Giroud).
Tornando al campo, è impossibile immaginare di essere passati dalla costruzione dal basso, l’attivazione dei centrocampista e le mezz’ali per innescare una manovra corale capace di assicurare copertura e allo stesso pericolosità, all’unica soluzione del lancio lungo su Osimhen. Onestamente questa è roba da oratorio. Così come è tempo di compiere una riflessione seria sulla presenza in campo dal primo minuto di Insigne, ieri uscito anche accompagnato da una buona dose di fischi.
Dunque, possiamo senz’altro dire che spalle larghe non se ne vedono all’orizzonte, quanto alle palle, a voi il giudizio.