Scontro tra Chiesa e Magistratura a Napoli: Battaglia risponde a Riello

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Sembrava uno dei soliti appelli contro i preti che concedono la comunione ai camorristi, quello lanciato dal procuratore generale di Napoli, Luigi Riello, durante la cerimonia d’inaugurazione dell’anno giudiziario da poco cominciato. Quell’appello però contro quelli che il magistrato non ha esitato a definire i don Abbondio, non è rimasto inascoltato ma ha trovato la pronta replica dell’arcivescovo, don Mimmo Battaglia, schieratosi contro la criminalità organizzata già dal suo primo giorno alla guida della diocesi di Napoli, facendo rimuovere dalla chiesa di poggio vallesana, nel comune di Marano, un dipinto donato dal boss Lorenzo Nuvoletta. E così, il vescovo ha preso carta e penna affidando al mondo dell’informazione napoletana la sua replica al procuratore generale. Alla definizione manzoniana dei parroci di Riello, don Mimmo contrappone i tanti prelati impegnati in prima linea contro la camorra. Sacerdoti che al cospetto della “cappa omertosa della sovranità mafiosa non arretrano neanche di un centimetro e propongono, in alternativa, la logica “eversiva” di spazi comuni da recuperare alla bellezza dello stare insieme, perché la tendenza all’isolamento, alimentata dalla paura della camorra, si vince solo con il gusto della condivisione». E poi, ha proseguito nella sua lettera don Battaglia: «Preti che si sentono chiamare “sbirri” perché non hanno timore a invitare le persone a denunciare”. L’arcivescovo non ha negato i casi in cui i preti hanno dimenticato lo scopo della missione pastorale, citando però i casi di don Peppe Diana e degli altri che come lui sono morti per denunciare lo strapotere mafioso. I preti che hanno le “mani sporche di vangelo”.