Da Caravaggio a Paganini, confronto su storie di artisti resi ancor più grandi dalla malattia

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La malattia può generare arte? Sembra di sì almeno in alcune situazioni eclatanti. Come in Caravaggio per il quale si può ipotizzare un ”disturbo di personalità borderline” o come nel caso di Niccolò Paganini che, forse, non sarebbe mai arrivato a virtuosismi così elevati senza la Sindrome di Marfan o di Ehlers Danlos: la malattia aveva reso le sue dita eccezionalmente lunghe e ipersensibili. E la malattia diventa arte nel presepe napoletano. Al Museo delle Arti Sanitarie, nel complesso dell’ospedale ‘Incurabili’, esiste un vero e proprio presepe composto da una quarantina di pastori malati, affetti da diverse patologie, dal cieco allo zoppo, dall’appestato alla donna col gozzo. Pezzi unici, di rara bellezza, per rappresentare l’epidemiologia del Settecento con un intento, uno studio, che è artistico ma anche scientifico. Un rapporto intrigante quello tra malattia e arte, analizzato dal dottor Giuseppe Clemente nell’incontro sul tema ‘Il medico e l’arte’ promosso dall’Associazione nazionale medicina legale pubblica amministrazione (Anmelepa) e dalla Commissione medica di verifica Mef di Napoli, nell’Istituto italiano per gli studi filosofici. Vi hanno partecipato Luigi Lista e Giuseppe Guadagno, rispettivamente presidente e vicepresidente dell’associazione, oltre che il chirurgo Gennaro Rispoli, fondatore del Museo delle Arti Sanitarie, che ha parlato della rappresentazione della malattia nel presepe (”attraverso i pastori e la creatività artistica si esorcizza il male”). Dunque, in molti artisti proprio la malattia ha contribuito a creare grandi capolavori: questo il concetto testimoniato col richiamo a casi concreti da Clemente. Pierre Auguste Renoir cambiò di fatto stile per l’influenza dell’artrite reumatoide, tutta l’attività compositiva di Robert Schumann fu influenzata dalla ‘psicosi paranoidea’, e anche in Ludvig Van Beethoven pesò il ‘disturbo bipolare’. E ancora, tra le vicende umane raccontate da Clemente, quella di Francisco Goya. La ‘pinturas negras’ altro non è che espressione del ‘saturnismo’, vale a dire encefalopatia da intossicazione cronica da piombo. I ‘mostri generati dal sonno della ragione’, quindi, furono determinati dai pigmenti usati dai pittori che erano molti ricchi di piombo; Goya era solito intingere il pennello nella tavolozza e poi portarselo alla bocca per inumidirlo con la saliva al fine di diluire il colore. Una galleria popolata da personaggi che hanno caratterizzato le vicende artistiche nei vari campi come si vede, fino ai giorni nostri. Passando per Vincent Van Gogh (30 diagnosi psichiatriche diverse), Edvard Munch (‘famoso ‘L’Urlo’ frutto, a leggere il suo diario, di un attacco di panico), Claude Monet (colpito da cataratta a entrambi gli occhi), Rembrandt (affetto da strabismo), Antonio Ligabue (sindrome dissociativa). In tempi recenti Carlo Zinelli (1916-1974) ha rappresentato l’esempio di come la malattia psichiatrica sia stata l’origine, la causa, la musa ispiratrice della sua pittura. Droghe e musica hanno costituito il terreno comune per la nascita di numerose composizioni negli anni Settanta e Ottanta. Ma la malattia ha influenzato, come detto, anche l’arte presepiale. Nel Museo delle Arti Sanitarie, fondato dal professore Rispoli, vi è la rappresentazione di pastori ‘malati’, unica al mondo. Rispoli ha descritto le varie patologie evocate nel presepe napoletano, in una sorta di mappa delle malattie. Un percorso che lega il morbo alla rappresentazione degli ‘ultimi’ in chiave artistica. E in una logica di ‘socializzazione’ della sofferenza con quelli che, ha ricordato Rispoli, sono ambasciatori di Napoli nel mondo.