Chirurgia protesica, a Napoli confronto tra esperti italiani e spagnoli

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Allungamento dell’età media, miglior qualità della vita e perfezionamento delle tecniche di intervento chirurgico sono i principali motivi per cui, dal 2001 ad oggi, in Italia sono praticamente raddoppiati gli interventi di artoprotesi.

Se ne parla nel Centro Congressi di via Partenope, a Napoli, durante il congresso internazionale SOTIMI, la Società di Ortopedia e Traumatologia dell’Italia Meridionale ed Insulare. Ai medici SOTIMI si affiancheranno i “cugini” spagnoli della SATO e SOCUMOT, due società spagnole di ortopedia e traumatologia, per una due giorni di confronti su tecniche e prassi cliniche pre e post operatorie. Il congresso, organizzato dallo stesso Professor Massimo Mariconda e dal Professore Mario Misasi, Direttore della I Divisione di Ortopedia dell’Ospedale Cardarelli, avrà due focus: nella prima giornata, si affronterà il tema della mini-invasività, mentre al sabato l’attenzione sarà sulle infezioni in ortopedia e traumatologia.

“Se qualche anno fa un intervento di protesi all’anca, al ginocchio o alla spalla – spiega Massimo Mariconda, direttore della Scuola di Specializzazione in Ortopedia e Traumatologia dell’Università Federico II di Napoli – veniva effettuato prevalentemente in pazienti con lunga aspettativa di vita, oggi è considerevolmente aumentato il numero degli impianti protesici effettuati, soprattutto all’anca negli anziani, grazie alla maggior efficacia e sicurezza degli interventi chirurgici”. “Grazie al perfezionamento delle tecniche d’intervento, sempre meno invasive – commenta Mariconda – abbiamo due vantaggi importantissimi: innanzitutto siamo orami in grado di assicurare un recupero pressoché totale della funzionalità degli arti, poi riusciamo a ridurre al minimo i tempi di ospedalizzazione”. Il dato positivo dell’aumento di pazienti “guaribili” con intervento protesico ha, però, il suo rovescio della medaglia nel fisiologico problema delle infezioni post-operatorie, tema su cui si concentreranno gli interventi della seconda giornata di lavori. Secondo il RIAP, il Registro Italiano ArtoProtesi, è, infatti, l’infezione uno dei motivi principali di fallimento di un impianto protesico. “Ogni infezione – spiega Tiziana Ascione, Infettivologa dell’Ospedale Cotugno, Azienda Ospedaliera dei Colli – ha un costo sanitario tra i 50 e gli 80 mila euro poiché una protesi infetta richiede un complesso trattamento chirurgico che prevede un primo intervento con la rimozione dell’impianto infetto e posizionamento di un presidio temporaneo in cemento (spacer). Successivamente, il paziente deve essere sottoposto ad un lungo trattamento antibiotico prima di affrontare un secondo intervento per riposizionare la protesi definitiva. Il tutto complicato dalla possibilità di recidiva di infezione e dall’antibiotico-resistenza”. “Per questo – prosegue Ascione – è importante avere un approccio multidisciplinare alle infezioni protesiche in modo che si possano individuare immediatamente i sintomi di un’infezione, intervenendo a tempo debito e con la massima efficacia, per evitare il fallimento dell’impianto”.